Tag: locali commerciali

Legittima l’eccezione di inadempimento nel contratto di locazione commerciale

Legittima l’eccezione di inadempimento nel contratto di locazione commerciale

Il Tribunale di Venezia, con una interessante sentenza, torna a delineare i contorni della legittimità dell’eccezione di inadempimento nei contratti di locazione commerciale.

Sul punto, l’elaborazione della Cassazione aveva da tempo condotto alla conclusione per cui l’eccezione di inadempimento del conduttore, ossia il rifiuto di pagare i canoni di locazione, fosse legittima, e dunque inibisse la risoluzione per inadempimento, solo in presenza di un inadempimento cd. “totalitario” da parte del locatore, ossia della manifesta impossibilità di godere il bene da parte del conduttore.

La vicenda da cui trae ogirine la sentenza riguarda la locazione di un bene immobile ad uso commerciale destinato alla rivendita di vini, per il quale il locatore aveva chiesto lo sfratto per morosità del conduttore.

nel costituirsi in giudizio, l’intimato esponeva che, a seguito di lavori di natura straordinaria iniziati nei locali oggetto di locazione su commissione di parte locatrice, ma i completati, era stato costretto a chiudere l’attività di rivendita di vini a causa della sopravvenutà completa inutilizzabilità del locale, lasciato giacere quale incompiuto cantiere a causa della fuga dell’esecutore incaricato dalla proprietà.

Muovendo dall’esegesi degli art. 1571,1575 e 1576 c.c. secondo cui la locazione è il contratto con cui una parte si obbliga a far godere all’altra una cosa mobile od immobile, per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo, il Tribunale ricostruisce le obbligazioni del locatore, tra cui quella di consegnare la cosa in buono stato di manutenzione, di mantenerla in istato da servire
all’uso convenuto e di garantirne il pacifico godimento durante il rapporto.

Il Tribunale riconosce che il generale principio di cui all’art. 1460 c.c., in tema di locazione, ha delle indiscutibili peculiarità, laddove si consideri che il rapporto locatizio è caratterizzato dal godimento dell’immobile, integrante la prestazione del locatore, cui fa da controprestazione il pagamaneto del canone, ma che tra le due prestazioni pur sempre sussiste un rapporto di sinallagmaticità che va declinato anche alla luce dei principi di correttezza e buona fede, di guisa che essa non possa produrre una alterazione del sinallagma contrattuale, determinando uno squilibrio delle rispettive posizioni delle parti del rapporto locatizio.

Ciò che va, dunque, stabilito in concreto, è se l’eccezione di inadempimento sia stata sollevata in buona fede oppure no, e che il Giudice del merito deve verificare “se la condotta della parte inadempiente, avuto riguardo all’incidenza sulla funzione economico-sociale del contratto, abbia influito sull’equilibrio sinallagmatico dello stesso, in rapporto all’interesse perseguito dalla parte, e perciò abbia legittimato, causalmente e proporzionalmente, la sospensione dell’adempimento dell’altra parte” (Cass. 2720/2009, conf. Cass. 16822/2003).

Sempre la giurisprudenza di legittimità ha ricordato che tale sospensione è stata ritenuta legittima solo “qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un’alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti. Inoltre, secondo il principio inadimplenti non est adimplendum, la sospensione della controprestazione è legittima solo se conforme a lealtà e buona fede” (Cass. 20322/2019).

Sulla base dei principi delineati, e alla luce della consulenza tecnica d’ufficio svolta nell’istruttoria, il Tribunale ha concluso che la mancata conclusione dei lavori di straordinaria manutenzione commissionati abbia reso il locale inidoneo allo svolgimento dell’attività commerciale del conduttore e che, ciò si sia posto in contraddizione con l’obbligo specifico di garantire il godimento degli immobili locati, rendendo così legittima la sospensione del pagamento dei canoni, essendo emersa l’inidoneità del locale allo svolgimento dell’attività commerciale, che in effetti da luglio 2019 si era interrotta senza più riprendere.

Nel caso di specie, infatto, era venuta completamente a mancare la completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore.

Il Giudice pertanto, in accoglimento dell’opposizione, dichiarava risoluto il contratto per inadempimento del locatore, non convalidando lo sfratto intimato per morosità.

La pronuncia, dunque, conferma la bontà del percorso scelto dal difensore quando, ancora in fase stragiudiziale, aveva avviato la mediazione annunciando che, in caso di mancato adeguamento dei locali, il conduttore avrebbe sospeso il pagamento dei canoni.

La pronuncia, ponendosi in piena coerenza con la giurisprudenza di merito e di legittimità ormai consolidata, conferma la possibilità del conduttore di reagire alla trascuratezza del locatore senza incorrere nello sfratto.

Associazione in locali commerciali: per il Consiglio di Stato è possibile

Associazione in locali commerciali: per il Consiglio di Stato è possibile

Il Consiglio di Stato prende una importante posizione in tema di uso di immobili con destinazione d’uso commerciale che siano stati adibiti, senza esecuzione di opere, a luoghi di culto o sedi di associazioni religiose.

La vicenda trae origine da una ordinanza del Comune di Venezia del 2018 con cui veniva disposto a carico di una associazione religiosa locale, che si riuniva in un locale precedentemente adibito a negozio e con destinazione d’uso commerciale, e che l’associazione stessa regolarmente conduceva in locazione non residenziale, di “ripristinare” la destinazione d’uso commerciale, asseritamente mutata rispetto all’uso effettivo, di luogo di riunione a fini religiosi.

Stando alla prospettazione del Comune, l’uso a fini religiosi o culturali è incompatibile con la destinazione d’uso commerciale e che, dunque, l’associazione avrebbe dovuto chiedere un conforme titolo edilizio per il mutamento di destinazione d’uso (mutamento che lo stesso Comune avrebbe, peraltro, ritenuto impossibile in ragione delle limitazioni della zona urbanistica).

L’associazione, patrocinata dagli Avvocati Marco Biagioli e Caterina Caregnato ricorreva al TAR Veneto evidenziando l’illegittimità dell’ordinanza sotto molteplici profili, tra cui la non rilevanza della destinazione d’uso in relazione all’uso “religioso”, sulla base della corretta interpretazione dell’art. 23 ter T.U. Edilizia, ossia la norma che direttamente dispone quando sia necessario ottenere un titolo edilizio.

Partendo da una accurata interpretazione di una pronuncia della Corte di Cassazione, secondo cui “per quanto riguarda la destinazione a luogo di culto, la stessa non è astrattamente incompatibile con le categorie funzionali di cui al D.P.R. 380/2001, e cioè quella residenziale, quella turistico-ricettiva, quella produttiva e direzionale, quella commerciale e quella rurale, in quanto può coesistere con tali destinazioni, a condizione che non determini l’assegnazione dell’immobile a una diversa categoria funzionale tra quelle suddette e non comporti, ancorché tale destinazione non sia accompagnata dalla esecuzione di opere edilizie, un aggravio del carico urbanistico nel senso anzidetto” (Cass. 34812/2017), i ricorrenti sostenevano l’irrilevanza urbanistica del contestato mutamento di destinazione d’uso.

In primo grado il TAR Veneto rigettava il ricorso sostenendo che l’associazione avrebbe dovuto ottenere un titolo abilitativo edilizio per l’esercizio del culto nel negozio de quo.

Avverso tale sentenza l’associazione interponeva appello al Consiglio di Stato chiedendo l’integrale riforma della prima pronuncia e la sospensione medio tempore del provvedimento impugnato.

Con ordinanza cautelare 2788/2019 del 30.5.2019 il Consiglio di Stato accoglieva la richiesta di sospensiva motivando in piena aderenza agli argomenti di parte ricorrente: “considerato che, ad un primo sommario esame proprio della fase cautelare, il contestato mutamento di destinazione d’uso, non appare urbanisticamente rilevante”.

La pronuncia, come si capisce, non riguarda tanto il pericolo che derivi all’associazione dall’esecuzione del provvedimento, ma il merito della vicenda, ossia l’esistenza o meno del diritto.

La motivazione, peraltro, ricalca pienamente quanto sostenuto dall’associazione appellante, ossia che la destinazione a luogo di culto sia in sé astrattamente compatibile con tutte le categorie funzionali di cui all’art. 23 ter D.P.R. 380/2001, a condizione che non siano eseguite opere che richiedano di per sé stesse il conforme titolo abilitativo.

Tale pronuncia è destinata a tracciare una linea importantissima per la vita delle associazioni religiose e culturali che svolgono una parte importante nella società ma che molto spesso sono andate incontro a interventi legislativi o amministrativi ritorsivi e volutamente discriminatori, sovente mascherati sotto la disciplina edilizia urbanistica.

Theme: Overlay by Kaira e-mail: biagioli@email.it PEC: biagioli@postecert.it