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L’imprenditore occulto risponde dei debiti nei confronti del lavoratore

L’imprenditore occulto risponde dei debiti nei confronti del lavoratore

Non è raro che il datore di lavoro, che sia costituito come persona fisica o in forma societaria, sia un vuoto prestanome che il lavoratore – pur formalmente impiegato da un soggetto – presti la propria attività in favore di un altro, che apparentemente non ha legami con il primo.

Si tratta di fenomeni fraudolenti che molto spesso mascherano episodi di sfruttamento e violazione delle norme che presiedono ai rapporti di lavoro, contro cui il lavoratore spesso non può difendersi.

La giurisprudenza ha da tempo stabilito la rilevanza giuridica dell’imprenditore cd. occulto, basandosi su un’interpretazione letterale dell’art. 2092 c.c. che esordisce con “è imprenditore” colui che esercita professionalmente un’attività economica, e dunque valorizzando un profilo di fatto dell’esercizio dell’attività, più che un profilo di diritto dell’iscrizione al registro delle imprese o altro.

il Tribunale di Venezia ha allargato tale rilevanza del fenomeno dell’imprenditore occulto anche ai rapporti di lavoro.

In una recente sentenza, infatti, il giudice lagunare ha statuito che “l’ esercizio da parte dello stesso del potere di iniziativa e delle scelte di gestione nell’ attività di impresa facente formalmente capo alla (omissis)” di fatto rende l’imprenditore occulto “il centro gravitazionale delle scelte effettuate dall’ impresa sia in sede di avvio dell’attività, che nella successiva gestione ed infine quanto alla scelta di dar vita alla S.R.L.”, seguendo l’insegnamento della Suorema Corte (cfr. per tutte Cass. 27541/2019).

Ne deriva, dunque, secondo il Tribunale di Venezia, una riconducibilità del potere direttivo, e dunque della responsabilità per i crediti derivati dall’attività imprenditoriale, anche all’imprenditore occulto oltre che a quello apparente.

Se il datore di lavoro non paga lo stipendio: che fare?

Se il datore di lavoro non paga lo stipendio: che fare?

Può capitare, soprattutto in periodi di crisi economica, che il datore di lavoro non paghi uno o più stipendi.
Che fare in questi casi?

Il sentimento del lavoratore è sempre duplice: da un lato vi è la volontà di recuperare quanto dovuto, dall’altro vi è il timore di creare una frattura nei rapporti con il datore di lavoro e di entrare in un lungo contenzioso, senza poi sapere se e quando la pretesa sarà pienamente soddisfatta.

L’ordinamento, tuttavia, mette a disposizione del lavoratore degli strumenti semplici e, talvolta, molto veloci, per affrontare queste situazioni.

Distinguiamo subito due possibilità: può accadere che il datore di lavoro non paghi lo stipendio, ma consegni il cedolino paga, oppure che non dia entrambi. Anche la mancata consegna del cedolino è una violazione dei doveri del datore di lavoro (punibile con una sanzione amministrativa da 150 a 900 euro) dal momento che il diritto del lavoratore a riceverlo è stabilito dall’art. 1 L. 4 del 05.01.1953.

Nel caso in cui il datore di lavoro abbia consegnato al lavoratore il cedolino, tutto è più semplice. Il cedolino costituisce infatti scrittura contabile aziendale e dunque fa piena prova contro l’imprenditore con la conseguenza che il lavoratore potrà richiedere l’emissione di un decreto ingiuntivo (ossia un ordine del Giudice di pagare la somma dovuta, oltre agli interessi e alle spese legali) al Tribunale del luogo in cui presta la propria attività.

A questo punto costui può scegliere se pagare entro 40 giorni o fare opposizione; se decide di opporsi si instaurerà una causa di lavoro in cui il datore di lavoro dovrà dimostrare, per essere liberato, di aver effettivamente corrisposto le retribuzioni reclamate.
Comunque, alla prima udienza il Giudice potrà decidere di rendere provvisoriamente esecutivo il decreto ingiuntivo, abilitando il lavoratore all’esecuzione forzata, ovvero al pignoramento di beni o di crediti dell’impresa, per vedere soddisfatte le proprie pretese.

Se entro i 40 giorni il datore di lavoro non paga e non fa opposizione, il decreto ingiuntivo diviene esecutivo, e il lavoratore può procedere all’esecuzione forzata.
Se invece il datore di lavoro non consegna il cedolino, il lavoratore dovrà instaurare una causa di lavoro dimostrando non solo l’esistenza del rapporto, ma anche l’ammontare dovuto, mancando una scrittura proveniente dall’impresa con efficacia probatoria.

Vi è però una strada più semplice, meno costosa e più veloce: la diffida accertativa. Prevista per la prima volta dal D. Lgs. 124 del 23.04.2004, la diffida è un atto non giurisdizionale, ma dell’ispettore del lavoro, che consente di arrivare rapidamente alla formazione del titolo esecutivo (e quindi all’esecuzione forzata).
Nel corso di una ispezione, anche eventualmente su sollecito del lavoratore, dunque, l’ispettore può compiere un accertamento di tipo tecnico, ossia accertare che il lavoratore è creditore di una determinata somma di denaro certa, liquida ed esigibile.

Il Ministero del Lavoro ha chiarito che sono accertabili tecnicamente, e quindi diffidabili, fra gli altri, i crediti retributivi da omesso pagamento, fino ad estendersi anche alle ipotesi di dequalificazione o lavoro sommerso.

Accertata la debenza, l’ispettore del lavoro compila la diffida e la notifica al datore di lavoro. Questi, entro 30 giorni può promuovere la conciliazione alla direzione territoriale del lavoro o il ricorso al comitato regionale per i crediti patrimoniali.

Se omette entrambe le cose, e non paga, scaduti i 30 giorni il direttore della Direzione Territoriale del Lavoro può attribuire alla diffida valore di titolo esecutivo, abilitando così il lavoratore all’esecuzione forzata.

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