Il Tribunale di Venezia ribadisce l’applicabilità degli strumenti processuali previsti dalla L. Gelli-Bianco anche in assenza di decreti attuativi che, ricordiamo, a quasi tre anni di distanza dalla promulgazione della Legge, non sono ancora stati emanati.
La Legge 24/2017, cd.
Gelli-Bianco recante “disposizioni in materia di sicurezza delle cure e
della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale
degli esercenti le professioni sanitarie” aveva profondamente innovato il
settore della responsabilità medica e sanitaria finalmente codificando le
conclusioni a cui era da tempo giusta la giurisprudenza di merito e di
legittimità sull’assetto delle azioni nei confronti delle strutture sanitarie e
della responsabilità di queste ultime.
Muovendo dall’elaborazione
pretoria del cd. “contratto atipico di spedalità”, la Legge aveva
riconosciuto la responsabilità ex art. 1218 e 1228 c.c. (di natura
contrattuale) in capo alla struttura, ed ex art. 2043 c.c. (aquiliana) in capo
al sanitario direttamente responsabile lasciando al danneggiato la scelta se
agire contro l’uno e contro l’altro.
Peraltro, la Legge, all’art. 8,
ha prefigurato uno speciale percorso processuale per tale tipo di azione, che
prevede la facoltà per l’attore di scegliere tra la preventiva mediazione e il
ricorso per consulenza tecnica ai fini della composizione della lite, ex art.
696 bis c.p.c., già prima della sua promulgazione strumento molto usato nella
pratica giudiziaria, ed ora codificato come primo passo, seguito poi dal
ricorso ex art. 702 bis ove la conciliazione non riesca.
La legge, peraltro, nello
spingere al massimo la finalità conciliativa, aveva previsto che fin
dall’inizio l’assicuratore dell’azienda sanitaria (che deve per Legge essere
pubblicamente indicato assieme agli estremi di polizza nel sito internet
dell’azienda sanitaria stessa) fosse parte dell’accertamento tecnico in modo da
poter fin dall’inizio formulare eventuali proposte transattive da un lato, e
dall’altro, l’accertamento gli fosse opponibile in caso di mancata
conciliazione.
Per di più, la legge qualifica
la partecipazione al procedimento di consulenza tecnica preventiva “obbligatorio”
per tutte le parti, riservando un trattamento particolarmente severo alla parte
che, convenuta in giudizio, non partecipi: “in caso di mancata
partecipazione, il giudice, con il provvedimento che definisce il giudizio,
condanna le parti che non hanno partecipato al pagamento delle spese di
consulenza e di lite, indipendentemente dall’esito del giudizio, oltre che ad
una pena pecuniaria, determinata equitativamente, in favore della parte che è
comparsa alla conciliazione”.
Il quadro normativo in esame,
dunque, spinge fortemente per una conciliazione nella prima fase facilitandola
al massimo mediante la previsione della partecipazione della compagnia di
assicurazioni fin dall’inizio ed evitando inutili rinvii legati a chiamate in
causa di terzi, autorizzando il ricorrente alla citazione diretta.
Fin dall’inizio si erano posti
due problemi interpretativi di notevole portata: che sorte avrebbero avuto le
azioni iniziate dopo l’entrata in vigore della Legge, ma riferite a fatti
precedenti la stessa?
E ancora, cosa avrebbero
dovuto fare i danneggiati in attesa che fossero emanati i decreti attuativi che
il legislatore non ha ancora voluto emanare dopo quasi tre anni dall’entrata in
vigore della Legge?
Quanto alla prima domanda, è
stato ritenuto in dottrina e in giurisprudenza che, pur essendo pacifico che al
fatto genetico della responsabilità risalente a prima delle Legge Gelli Bianco
(L. 24/2017) la disciplina sostanziale applicabile fosse quella precedente, con
tutta la sua conseguente elaborazione giurisprudenziale in tema di
responsabilità della struttura in forza del cd. contratto atipico di “spedalità”,
fossero purtuttavia applicabili le norme di natura processuale prevedute dalla
L. 24/2017 proprio perché di natura non sostanziale, ma destinate a regolare il
rapporto processuale, con la conseguenza che esse si applicano a tutti i
procedimenti promossi successivamente, indipendentemente dal momento del fatto
genetico della responsabilità.
Quanto alla seconda, nel
costituirsi in giudizio gli assicuratori avevano più volte contestato la
carenza di legittimazione legata al fatto che le disposizioni relative
all’azione diretta del soggetto danneggiato nei confronti dell’impresa di
assicurazione, stando alla norma, “si applicano a decorrere dalla data di
entrata in vigore del decreto di cui al comma 6 dell’art. 10 con il quale sono
determinati i requisiti minimi delle polizze assicurative per le strutture
sanitarie e sociosanitarie e per gli esercenti le professioni sanitarie”,
che, come noto, ad oggi non è stato ancora emanato.
Tuttavia, era stato osservato
fin dall’inizio che tale lacuna legislativa, ossia la mancata adozione del
decreto attuativo ex art. 1, co. 6, al massimo avrebbe escluso la sussistenza
dei presupposti per l’irrogazione della sanzione di cui all’art. 8, ma non
faceva venir meno l’obbligatoria partecipazione al procedimento di tutti i
soggetti coinvolti.
Su tale linea si erano già
espressi numerosi giudici di merito, tra cui Trib. Verona, 17.5.2018 e Trib.
Venezia, 16.7.2018.
Proprio il Tribunale di
Venezia, con ordinanza del 5.2.2020 (G.I. dott. Simone) ha summarizzato e indicato
molto chiaramente le condizioni di applicabilità della L. 24/2017 in mancanza
dei decreti attuativi.
La vicenda trae origine da un
ricorso ex art. 696 bis c.p.c. e art. 8 L. 24/2017 con cui i ricorrenti,
patrocinati dall’Avv. Marco Biagioli, lamentando un errore diagnostico che aveva
condotto a terapie inadeguate e conseguente danno alla salute, convenivano in
giudizio l’azienda sanitaria e il proprio assicuratore per la preventiva fase
della consulenza tecnica.
L’assicuratore si costituiva
in giudizio eccependo carenza di legittimazione per la mancata adozione del
decreto attuativo ex art. 1, co. 6, che a suo dire avrebbe escluso l’azione
diretta, e perché la SIR della polizza aveva un valore di 750.000 euro,
lasciando altrimenti la gestione della controversia all’azienda sanitaria.
Il Tribunale, dopo aver udito
le repliche dei ricorrenti, rilevava che “pur non essendo stata ancora
varato il decreto previsto dall’art. 10, comma 6, l. 24/2017 circa <<i
requisiti minimi delle polizze assicurative>>, attesa la chiara finalità
del legislatore di individuare un percorso processuale teso a propiziare, ove
possibile, la conciliazione della instauranda controversia, non è dirimente
l’assenza di azione diretta da parte del soggetto (asseritamente) danneggiato
verso la compagnia della struttura” e che dunque “nell’indicata
traiettoria, volta a favorire la massima e fattiva partecipazione alla
procedura ex art. 696 bis c.p.c., l’art. 8, comma 4, prevede un meccanismo
sanzionatorio, che evidenzia il chiaro intento del legislatore di consentire lo
svolgimento della consulenza nel pieno contraddittorio di tutti i soggetti
potenzialmente interessati anche al fine di rendere opponibile il disposto
accertamento, sì da evitare la reiterazione nella fase di merito”.
Quanto alle eccezioni
dell’assicuratore, aggiungeva che “non è dirimente quanto osservato dalla
compagnia in merito alla portata dell’obbligo di partecipazione al procedimento
ex art. 15, comma 4, l. 24/2017, posto che, fermo il menzionato rafforzamento
della finalità conciliativa, la mancata adozione del decreto attuativo ex art.
1, comma 6, s.l. al più potrebbe portare ad escludere la sussistenza dei
presupposti per l’erogazione della prevista sanzione, ma nondimeno rimane il
dato della obbligatoria partecipazione al procedimento di tutti i soggetti
indicati dal ricorrente” e che “non è dubitabile che l’impianto della
legge 24/2017 sia connotato da una esigenza di accelerazione, che non può
essere frustrato dal ritardo nell’emanazione della normativa di attuazione con
il rischio di un incremento dei costi processuali in caso di reiterazione
dell’accertamento nella fase di merito” (Trib. Venezia, 5.2.2020).
Il Giudice pertanto, in
accoglimento del ricorso e respingendo le opposte eccezioni, nominava il
consulente tecnico d’ufficio e formulava il quesito.
La pronuncia, dunque, conferma
la bontà del percorso scelto dal difensore e le conclusioni della
giurisprudenza più accorta che aveva osservato come la finalità acceleratoria e
deflattiva del procedimento non potesse essere cancellata a causa dell’inerzia
nell’emanazione del decreto attuativo e che la predisposizione di un impianto
processuale teso alla conciliazione, favorita sotto molti punti di vista,
dovesse essere comunque salvaguardata.
Tale
pronuncia traccia nuovamente una linea importantissima per chi, già colpito da
sciagurati eventi quali l’errore medico e il correlativo danno alla salute, si
vedeva opporre dagli assicuratori delle aziende sanitarie eccezioni meramente
dilatorie e defatigatorie, rallentando il raggiungimento del risultato ultimo,
ossia della risoluzione della lite con la corresponsione del giusto
risarcimento.