Il regime IVA forfettario,
introdotto dall’art. 1, co. 54-89, L. 190/2014 (cd. Legge di stabilità 2015)
rappresenta il regime naturale delle persone fisiche che esercitano un’attività
di impresa, arte o professione in forma individuale, che rispettino i limiti
patrimoniali richiesti e purché siano in possesso degli altri requisiti
stabiliti dal co. 54 e ss. citati, come da ultimo modificati, a decorrere dal 1.1.2020,
dalla L. 160/2019 (Legge di Bilancio 2020).
Naturale perché contiene
alcune disposizione di grande favore sia in ordine all’aliquota di imposizione,
sia alla non assoggettabilità ad imposta sul valore aggiunto dei compensi
percepiti, che in ordine alla estrema semplificazione del regime stesso, che
esclude la tenuta di qualsiasi libro o registro ad eccezione della
conservazione e numerazione delle fatture di acquisto e di vendita, nonché l’esonero
dagli studi di settore, redditometro e spesometro.
Il requisito patrimoniale
principale dell’attuale regime è il non aver conseguito, tra l’altro, nell’anno
precedente, ricavi superiori ad euro 65.000,00.
Ma come vanno conteggiati ed
intesi tali euro 65.000,00 di fatturato massimo ai fini del regime fiscale in
oggetto? La domanda è, in verità, piuttosto importante poiché il
superamento della soglia comporta, per il contribuente, la
fuoriuscita dal regime agevolato e il transito nel regime ordinario,
con tutte le conseguenze del caso.
Da articoli a stampa, anche
specializzata e anche abbastanza autorevoli, che periodicamente compaiono sul
punto, si legge una discreta confusione su un punto di grande importanza,
ossia l’applicabilità, ai contribuenti in regime forfettario, dell’art. 15, co.
1, n. 3 D.P.R. 633/1972 (cd. Testo Unico IVA) che, come noto, prevede
che “non concorrono a formare la base imponibile:
(…)
3) le somme dovute a titolo
di rimborso delle anticipazioni fatte in nome e per conto della controparte,
purché regolarmente documentate”, e dunque l’esclusione dal calcolo
dell’imponibile del riaddebito di somme che il contribuente anticipa in
nome e per conto del cliente e pacificamente a lui riferibili.
Tutti i professionisti
sostengono, per conto del cliente, spese per lo svolgimento dell’incarico, che
poi riaddebitano allo stesso quali “spese esenti” o “anticipazioni
non imponibili”. Non parliamo di spese di produzione di reddito,
ma di spese cd. vive, come bolli, postali, tasse su singoli
adempimenti e altre voci di spesa che il contribuente non sostiene per lo
svolgimento della propria attività, ma in sostituzione del cliente per l’adempimento
del singolo mandato da questi ricevuto, e che il cliente potrebbe,
avendone le competenze, sostenere in proprio consegnando al professionista la
prova del pagamento.
Nel regime IVA ordinario, tali
spese sono espressamente escluse dal computo dell’imponibile in forza del citato
art. 15, co. 1, n. 3 D.P.R. 633/1972; tuttavia è sorto un contrasto
ancora non risolto sull’applicabilità di tale esclusione al contribuente in
regime forfettario.
Da un lato,
infatti, si sostiene che tale esclusione sia applicabile anche ai
forfettari sia in ragione di un criterio di logica (non avrebbe senso
considerare “componente positivo di reddito” il rimborso di una spesa
anticipata che non produce alcun arricchimento per il contribuente), sia in
ragione della lettura coordinata delle norme.
Le disposizioni rilevanti,
infatti, ossia l’art. 1, co. 54-89, L. 190/2014 prevedono quanto segue:
“58. Ai fini dell’imposta
sul valore aggiunto, i contribuenti di cui al comma 54: (…) d) applicano alle
prestazioni di servizi ricevute da soggetti non residenti o rese ai medesimi
gli articoli 7-ter e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26
ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni;
64. I soggetti di cui al
comma 54 determinano il reddito imponibile applicando all’ammontare dei ricavi
o dei compensi percepiti il coefficiente di redditività nella misura indicata
nell’allegato n. 4 (…). I contributi previdenziali versati in ottemperanza a
disposizioni di legge, compresi quelli corrisposti per conto dei collaboratori
dell’impresa familiare fiscalmente a carico, ai sensi dell’articolo 12 del
citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del
1986, e successive modificazioni, ovvero, se non fiscalmente a carico, qualora
il titolare non abbia esercitato il diritto di rivalsa sui collaboratori
stessi, si deducono dal reddito determinato ai sensi del presente comma (…)”.
Da quanto ridetto si deduce
che i contribuenti in regime forfettario:
– Calcolano il reddito
imponibile applicando il coefficiente di redditività all’ammontare dei compensi
(ricavi per le imprese);
– Applicano l’art. 7 ter
e ss. D.P.R. 633/1972, e quindi, apparentemente, anche l’art. 15, co.
1, n. 3 sulle anticipazioni.
Dall’altro lato,
invece, si sostiene che proprio le norme citate, prevedendo che
la determinazione dell’imponibile avvenga mediante applicazione del coefficiente
di redditività e che sia permessa la sola deduzione dei contributi
previdenziali, impediscano l’applicazione dell’art. 15 poiché questo
prevede delle deduzioni diverse da quelle esplicitamente considerate dalle
disposizioni e, infine, perché comunque tali erogazioni costituiscono, per il
professionista, dei “ricavi”.
A opinione di chi scrive il
contrasto va risolto in senso affermativo alla applicabilità dell’art.
15 anche al regime forfettario, trattandosi di norma non esplicitamente
esclusa dalle disposizioni e rientrante nelle previsioni del co. 58, ed
essendo le anticipazioni di che trattasi assolutamente non qualificabili
come compensi trattandosi di somme anticipate per conto del cliente e a
lui pacificamente riferibili che non possono, da un punto di vista logico,
costituire imponibile fiscale (e previdenziale) in ragione di quanto detto e
pertanto si ritiene che sia possibile escludere dal computo dei
componenti positivi di reddito ex art. 15, co. 1, n. 3, D.P.R. 633/1972 le
spese documentate anticipate in nome e per conto del cliente, che sono
poi recuperati mediante addebito in fattura sotto la voce “spese esenti”
o “anticipazioni non imponibili”, e che pacificamente non costituiscono “compensi”,
mentre la voce “ricavi” ha poco senso nel contesto di cui si parla
poiché essi attengono non all’attività professionale o di lavoro autonomo ma al
reddito d’impresa.
Interrogata sul punto con
l’interpello 907-107/2020 ex art. 11, co. 1, lett. a), L. 212/2000, è
finalmente intervenuta a dare chiarezza l’Agenzia delle Entrate la
quale ha specificato che, con riferimento ai redditi di lavoro autonomo,
l’amministrazione finanziaria, con circolare 58/E del 18.6.2001, al paragrafo
2.2, aveva in allora precisato che “tra i compensi del
professionista rientrano i proventi percepiti sotto forma di rimborsi
dispese inerenti all’attività, con esclusione dei rimborsi relativi a
spese, analiticamente dettagliate, anticipate in nome e per conto del cliente.
Tale situazione impone che i rimborsi, salvo quelli anticipati in nome e per
conto del cliente, siano trattati alla stregua degli altri compensi”.
Ancora, con la Risoluzione
163/E del 22.10.2001, è stato ulteriormente chiarito che “i compensi che
concorrono a formare il reddito di lavoro autonomo sono costituiti dalle
erogazioni che i clienti corrispondono ai professionisti ed artisti nel
periodo d’imposta considerato. Nella nozione di compenso vanno inclusi
anche i proventi percepiti sotto forma di rimborsi di spese inerenti
all’attività, con esclusione di quelli relativi a spese analiticamente
dettagliate, anticipate in nome e per conto del cliente”.
Peraltro anche le risoluzioni
59 del 17.4.1996 e 164/E del 31.7.2003, pur se rese in ambito IVA, avevano
precisato che il presupposto essenziale affinché un determinato importo,
riaddebitato al committente, possa essere escluso dalla base imponibile IVA è
costituito dalla diretta insorgenza nella sfera patrimoniale del committente
dell’onere di cui trattasi: in presenza di tale presupposto, infatti, può
ravvisarsi un pagamento effettuato in nome e per conto di terzi e,
conseguentemente, può escludersi la natura di corrispettivo dell’importo
riaddebitato al committente, in quanto debito sorto direttamente nella sfera
patrimoniale di quest’ultimo.
Tale risposta chiarisce
definitivamente che, anche per i contribuenti in regime forfettario, opera
pienamente l’art. 15, co. 1, n. 3 D.P.R. 633/1972 e dunque le anticipazioni
effettuate in nome e per conto del cliente, purché debitamente documentate, non
rappresentano un componente positivo di reddito per il professionista.
In un
prossimo articolo verrà esaminato come tali voci debbano essere trattate ai
fini della compilazione della certificazione unica.